Il 19 dicembre il gruppo Unipol ha lanciato una nuova campagna pubblicitaria, sviluppata dall’agenzia McCann Erickson (quelli de “Ci sono cose che non si possono comprare. Per tutto il resto c’è Mastercard.”).
Non pubblicizza “prodotti o servizi, ma un messaggio per sostenere il Paese”: bisogna tornare ad avere fiducia nel futuro. Contemporaneamente è stato lanciato il sito “hofiducianelfuturo.it”, sul quale si possono condividere i propri pensierini speranzosi per contribuire alla suddetta campagna.
Lo slogan principale è: “Possiamo fare a meno di tutto, ma non del domani”.
Immediatamente mi si stampa in testa una domanda: è vero?
Recita la causale: “[…] la voglia di un intero Paese di tornare a credere nel proprio futuro può diventare la più straordinaria ed inesauribile fonte di energia per affrontare il presente e rimetterlo in marcia.”
Davvero credere nel futuro aiuta nel presente?
Sperare in un buon lavoro aiuta a studiare meglio?
Sperare in una indipendenza ed una stabilità economica aiuta a lavorare meglio?
Sperare in una vita dopo la morte aiuta a vivere meglio?
Io non ho risposte, così, come la campagna Unipol è rivolta agli italiani, mi programmo di chiederlo a qualche “italiano”: studenti, lavoratori dipendenti, commercianti, sacerdoti.
Giulia, studentessa al secondo anno di Giurisprudenza, si siede davanti a me ed ordina due caffè al vetro.
Le rivolgo la tagline Unipol in forma di domanda: “Possiamo fare a meno di tutto tranne che del domani?”.
“Ciò che è davvero fondamentale,” mi risponde, “di cui non possiamo davvero fare a meno, è il presente. Senza il presente non c’è nessun futuro.”
Lapidaria, recide alla nascita la possibilità di qualsiasi mossa in difesa dello slogan.
La cameriera ci porta i caffè. Sono due euro sull’unghia. Non sono al vetro.
Non ritengo sia salutare intervistare nessun altro.
dv