di K. Towich, febbraio 2001
Questo breve scritto si può usare in molte forme. All’autore gliene piacerebbe una in particolare: chi ha iniziato a leggerlo potrebbe scegliere una delle cose che lo opprimono ogni giorno e usare questa carta come miccia per incendiarla. Se questo non è il momento migliore allora si aspetterà leggendolo, semmai, di quando in quando. Ciò che è scritto vuole essere un attacco ai pregiudizi ereditati dalla società capitalista su ciò che sono il vandalismo, le sommosse, i saccheggi, ecc. Ha l’intento di abbattere i muri che ci impediscono di fare ciò che ci diverte, ciò che vogliamo: attaccare il nemico dove più gli duole.
I nostri atti sono spesso giudicati in base a pregiudizi. Questi sono basati sulla morale dominante che è la morale di coloro che dominano, che comandano. La morale in vigore oggi è quella che esalta il dialogo, il consenso, il compromesso, le petizioni, ma nello stesso momento sostiene un sistema che schiavizza ed uccide. La morale non è che un freno per chi vuole attaccare il potere. Un freno costruito appositamente. Il suo obiettivo è trasformare la vita in una somma di occasioni sprecate. Cerca di affogare i nostri desideri proprio in questi pregiudizi. Chi è stanco di inghiottire le fandonie dei media, ha compreso che il mito che indica che questa è la società della “comunicazione” è assurdo. Siamo sfruttati e oppressi e quando ci decidiamo ad attaccare il nemico viene il momento che ci domandiamo se ciò che faremo è un atto di autodifesa o no. Chi la pensa cosi filosofeggia sul fatto che la distruzione della proprietà è violenza o no, distingue quale atto è violento e quale no; marca cioè il limite a partire dal quale i nostri atti superano la frontiera dell’inaccettabile. Ci giudica in base alla morale. Dialoghiamo troppo, con il nemico e con i suoi falsi oppositori. Alle volte il silenzio comunica meglio. Alle volte bisogna agire e mettere da parte il dialogo.
Come sfruttati non riconosciamo a nessuno il diritto di indicarci il cammino da seguire. Come ribelli non riconosciamo a nessuno il diritto a imporci un sistema di valori, una morale. Siamo stufi dei moralisti. Con la rinuncia a distruggere il sistema inizia l’ossessione per la creatività. Il cittadino coscienzioso basa la sua attività nell’apportare “proposte costruttive”, con una “attitudine positiva” per contribuire a “migliorare le cose”. Questa creatività politica non è che un sinonimo di riforme e di abbellimenti che vorrebbero guardare ad un futuro che non esiste.
L’unica cosa utile è quella che ci dà il piacere immediato o che serve per estendere la rivolta e per farla finita con questo sistema. Non vogliamo autogestirci la miseria, non vogliamo risolvere i problemi del capitalismo, non vogliamo decorare questo mondo di merda con proposte in positivo. Vogliamo attaccarlo per distruggerlo. Le rivolte non vengono dai libri, né dalla mente di nessun illuminato. Le rivolte nascono dall’esplosione di disobbedienza di coloro che hanno accumulato sufficiente rabbia da essere stufi delle proteste ufficiali. Il cittadino progressista vede gli sfruttati come persone da organizzare e educare per fini rivendicativi. La mistificazione con la quale osserva le autorità lo spinge a vedere la gente come una massa di esseri incapaci di ogni reale iniziativa contro il potere. Eredita dagli “illustri” del 18esimo secolo una adorazione mistica per il razionalismo, la pianificazione e una fobia accesa contro la passione, i desideri e la rivolta disordinata. L’intellettualismo di sinistra pretende pianificare dal suo tavolo di chiacchiericci le proteste, le trasformazioni sociali e la nostra vita. Pretende di convertirci a sua immagine e somiglianza in vegetali “coscienti”.
È la passione e il rifiuto delle convenzioni, quando è stata l’ora di agire, che hanno invece aperto molte strade alla ribellione incontrollata. Non c’è niente che ci stanca più dell’enorme sforzo che dobbiamo fare ogni giorno per essere razionali, ragionevoli. Uno sforzo per non essere semplicemente e profondamente noi stessi. La passione per la vita esige collera e odio per chi vuole ucciderci poco a poco. I suicidi quotidiani della disobbedienza, l’intransigenza e la rassegnazione ci trasformano in zombie con acqua nelle vene. La reazione dei pianificatore delle proteste di azione ribelle è quantomeno ostile. La condanna facendosi spesso scudo della risposta repressiva che potrebbe comportare. È perché non vede il potere come nemico da distruggere. Se lo facesse capirebbe che la lotta tra sfruttatori e sfruttati non conosce momenti di pace; gli scontri sono continui e la repressione è uno strumento in più dell’oppressore. Il sottomettersi al mantenimento dei limiti della legalità non garantisce la continuità di nessun movimento antiautoritario, in realtà è il suo peggior nemico.
Le organizzazioni di sinistra si trasformano ogni giorno di più in Istituzioni Ufficiali di lamentela. Il loro funzionamento è un ciclo che inizia cercando di assorbire i focolai della “dissidenza” e dello scontento per far si, una volta individuati, che possano essere presentati come gruppi di pressione che chiedono la loro razione di concessioni a papà-stato. A partire da qui i progressisti vedono una minaccia nell’atto ribelle individuale o il gruppo che scappa al suo controllo. E se qualcuno può attaccare il nemico semplicemente con le idee chiare e la determinazione, a che servono i professionisti della lotta e i loro apparati burocratici? Così quando avvengono atti non controllati dalle Istituzioni Ufficiali di lamentela queste reagiscono sulla difensiva. Diranno che sono azioni controproducenti, senza senso o anche che “sono di Stato, intendono reprimerci ancora di più!”. Con questo cercano di coprire i loro fallimenti dando la colpa ai violenti, agli incontrollati, ai provocatori.
In realtà la vita quotidiana continua al margine di queste fantasie egocentriche. Ci sono continue attività illegali contro il nemico: furti a danni di imprese o supermercati, distruzione di macchinari da lavoro, sabotaggi vari, attacchi alla polizia, ecc. Se questi comportamenti illegali non si sono trasformati in momenti di ribellione collettiva è per due fondamentali ragioni: per la mancanza di fiducia nelle proprie capacità individuali/collettive e la mitizzazione del potere e per l’esistenza di pregiudizi morali rispetto alla violenza, al dialogo, alla democrazia. L’eliminazione dell’elitarismo (proprio della cultura di sinistra) inizia dal non pensarsi né più né meno coscienti del resto degli sfruttati. Non è sottovalutando le azioni spontanee di attacco che estenderemo la rivolta. Anzi bisogna farsi complici di queste e gettare benzina là dove c’è fuoco, rompendo così con le cause controllate dalle opposizioni ed estendendo il comportamento illegale. Pratichiamo il vandalismo. O comunque le azioni che cercano il piacere nell’attaccare qualcosa o qualcuno che ci opprime. È una pratica semplice e aperta a tutti. Per questo è già abbastanza estesa e si potrebbe estendere molto di più.
Con l’attacco demistifichiamo il nemico rompendo la falsa apparenza di pace sociale e di controllo totale. Con il vandalismo, inoltre, la si fa finita con il mito sinistroide che vede il potere sempre lontano ed irraggiungibile. Il cuore dei potere, invece, è ogni giorno intorno a noi e alla nostra portata, anche solo nelle relazioni che stabiliamo con il “padrone”, il capo, gli agenti repressori, le imprese, le istituzioni… Nessun atto di rivolta è cieco o inutile. La semplice ostentazione del potere e dello spreco di denaro di chi ci sfrutta è una provocazione per far sì che soffriamo le dovute conseguenze. Meritano di ricevere il frutto della nostra rabbia. Questo sistema non ci può offrire ciò che vogliamo e quindi dobbiamo combatterlo giorno dopo giorno. Non delegheremo a nessuno la nostra attività di attacco, non abbiamo bisogno di professionisti delle armi. è falso credere che l’attività di attacco porti direttamente alla clandestinità. È anche falso che per portare una dinamica di attacco si debba essere in clandestinità. Gli unici interessati a diffondere queste fantasie sono il potere e le organizzazioni di sinistra (armate e non). La questione non è scegliere tra manifestare in strada o portare avanti azioni di attacco. Dobbiamo essere flessibili e capire che tutti gli atti che fanno avanzare la rivolta sono validi; che la separazione tra questi e altri tipi di attività l’ha disegnata il sistema per mezzo di leggi e norme morali per annichilirci. Dobbiamo essere flessibili per agire alla luce dei giorno così come nel buio della notte. Il vandalismo è uno strumento utile e divertente.
Un’ultima cosa, la sua cattiva fama si deve soprattutto alla sua capacità di destabilizzare la vita quotidiana e per la sua facilità di estensione. Per questo ci interessa, per questo lo difendiamo e lo pratichiamo. è molto facile.
Anche tu puoi farlo. Fallo!