L’epopea di un movimento che, solo negli ultimi anni, è riuscito a prendere coscienza di sé.
No, no… non gli indignados… quelli so’ gli spagnoli. So’ quelli che occupavano le piazze, spaccavano il cemento a picconate per fare gli orti di sussistenza e costruivano i media-center da campo.
Qua si parla degli inDIVANAdos: eredi di una grande tradizione di sinistra (seppur con molte contaminazioni), sono ancora un movimento giovane, ma destinato, in futuro, a fare la differenza da queste parti; da non confondere con i divanados, che so’ quelli che ancora non c’hanno “coscienza di classe”.
Sono una colorata schiera di inattivisti, «teorizzazione della non-violenza gandhiana portata all’estreme conseguenze» che, armati di telecomandi sdraiati sui loro sofà (per l’estate, si attrezzano lettini da mare) e equipaggiati di smartphones e altri giocattoli dell’elettronica di consumo (sempre alla moda) passano le loro sere a partecipare alla grande spettacolarizzazione del disagio attraverso programmi di varietà (beninteso, varietà “alternativi”, eh!) come quelli di Santoro, Fazio, Floris e Gabanelli.
Questa fauna, sostenitrice della ben definita “rivoluzione comoda”, aleggia tra divano, ufficio e social network come Facebook (ma che è già troppo mainstream) e Twitter; quest’ultimi sono usati dagli indivanados per condivere la loro indignazione e la loro moralità con altri “compagni di divano” sparsi in tutti il paese. La tecnologia sempre a servizio del movimento.
E’ un movimento popolare, per questo vincente: prende dallo studente universitario, all’impiegato della “new economy”; insomma, chiunque si possa permettere agilmente Kindle e altri ninnoli della succitata elettronica di consumo. Ci aspettiamo grandi cose.
Perciò eccoli pronti con il telecomando in mano la domenica sera, salvo poi, il lunedì, ritornare ricurvi al lavoro/studio, asserviti alla macchina che tanto li indigna. Il fatto è che il vero indivanados vole sta’ comodo. Magari mette ‘na firmetta alla petizione vattelappesca. Guai a far qualcosa.
Toh, ci concediamo qualche chiacchera indignata durante la pausa caffé, ma non si possono tradire i principi di un movimento destinato a far strada. Con calma, che c’ho da vede’ Servizio Pubblico.
Gerri P. Malerba