Il Cencio
Aperiodico libertario dell'Agro Pontino
Smart City, dumb people
Categories: Ideario

C’è chi rifugge le cittadelle, cercando uno stile di vita diverso, in netto contrasto con ciò che ci viene quotidianamente propinato, e chi invece accetta di buon grado le gabbie d’oro.
anarchy-cartoonLe smart-city, ad oggi, rappresentano l’ennesimo tentativo di questo sistema di autoconservarsi con un duplice vantaggio: da una parte sfoltire le fila di chi si oppone a questo modello di gestione che fa mercato d’ogni cosa e mira a sfruttare fino all’ultimo atomo, all’ultima frequenza, all’ultima porzione di spazio; dall’altra continuare a fare i propri sporchi affari con una nuova faccia pulita da esibire in vetrina, magari corredata di drappelli di persone che, a certe menzogne, ci credono sinceramente.

Dovrebbe essere indicativo che posti come Dubai abbiano adottato il concetto di smart-city: ovvero un luogo dove lussuosissime ed energivore cittadelle in ferro-acciaio svettano su una landa desertificata, dove la gente patisce fame e sete e non ha accesso ai servizi di base.
O sei nel lato della città che conta, che è produttiva, che è conforme ad una visione standardizzata, oppure sei fuori.
Non che in Europa sia molto diverso in effetti. Magari è un fenomeno meno “violento”, ma più diffuso.

Se continueremo a credere a queste favole-incubi in stile Zeitgeist, finiremo in men che non si dica a vivere in tessuti urbani rigidamente controllati a garanzia che gli interessi di chi più è privilegiato da questa concezione barbara della vita siano rispettati.
Parola d’ordine: rendere più efficiente un sistema di sfruttamento indiscriminato che uccide, devasta e deporta; senza contestarlo, non sia mai. Senza alternative, va tutto bene, continuate a consumare, ben sorvegliati dalla nostra smart-grid.

Quello che qualcuno ha chiamato eco-fascismo.

Per fortuna c’è chi ancora, al contrario, sogna un mondo decisamente diverso.
Un mondo dove siano più importanti i flussi di persone, e non di risorse umane; di oggetti, e non di merci; di emozioni, e non di bisogni indotti; dove la (poca) tecnologia sia a servizio della biosfera, e non degli interessi di chi progetta e costruisce circuiti integrati o devastanti grandi opere.
Dove la gestione dell’energia e di ogni altra risorsa collettiva sia gestita, appunto, collettivamente, in un’ottica decrescente e in armonia con la biosfera.

Parafrasando Gil-Scott Heron, il cambiamento non verrà certo da un circuito integrato, da un social, dalla domotica o da qualsiasi altra illusione venduta in un incarto verde, o “sostenibile”, come va di moda.
Si cambierà quando saremo veramente disposti a discutere i fondamenti di questa società, compresa l’infrastruttura tecnologica su cui poggia.
Tutto il resto, rimane ancora parte del problema.

 

Letture consigliate:

  • La città totalitariaMiguel Amoros
  • Nanotecnologie: la pietra filosofale del dominio – Edizioni Il Silvestre

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